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  Meteorologia Sinottica

Come vengono realizzate e come si leggono correttamente le mappe meteorologiche? Breve storia della meteorologia sinottica.

Introduzione

La meteorologia è una scienza estremamente interdisciplinare, che attinge soprattutto alle leggi della fisica e della chimica per aiutarci nella comprensione dell'atmosfera terrestre, dei suoi processi, e la sua struttura. Si tratta di uno studio che ha origini antiche, quando le civiltà del passato hanno iniziato a fare osservazioni e tenere un registro delle condizioni meteorologiche, sia, inizialmente, per scopi agricoli che per mera curiosità generale sul mondo che li circondava. Nel corso dei secoli, l'atmosfera è stata studiata per una serie di motivi, tra cui l’ agricoltura, la difesa militare e la pianificazione e lo sviluppo di tecniche capaci di prevedere in anticipo fenomeni violenti come tornado e uragani. I progressi tecnologici, lo sviluppo del calcolo scientifico e l’aumento del numero totale di osservazioni meteorologiche rilevate ogni giorno in tutto il mondo, hanno permesso di ottenere previsioni più affidabili e una migliore comprensione globale della nostra atmosfera. Ai giorni nostri, oltre un miliardo di persone vengono a contatto con la meteorologia attraverso le innumerevoli applicazioni per smartphone che permettono di conoscere con un anticipo di circa una settimana il tempo che farà su una determinata località. Altre centinaia di migliaia utilizzano a terra, a bordo di navi o in volo su aerei altri prodotti più completi e sofisticati che sono le mappe meteorologiche. Nel mondo occidentale, ogni uomo è più o meno direttamente venuto a contatto nell’arco della sua vita con una mappa meteorologica. I più importanti network televisivi trasmettono ore e ore di programmi informativi sulla meteorologia o meglio sul tempo che farà, mostrando delle mappe meteorologiche semplici, in grado di trasmettere l’informazione, in maniere facile ed immediata, ad un audience non sempre sufficientemente alfabetizzata.  Negli Stati Uniti esiste addirittura un canale televisivo interamente dedicato alle previsioni meteorologiche su cui 24 ore al giorno vengono alternate previsioni valide per ogni angolo del pianeta a documentari sulla meteorologia e naturalmente a centinaia di spot pubblicitari che alimentano il business. A questa enorme pervasività delle previsioni meteorologiche e delle sue applicazioni nella vita di gran parte degli abitanti del pianeta, si contrappone una scarsa comprensione dei fenomeni meteorologici e delle leggi che governano la scienza dell’atmosfera da parte dei generici utenti. Ma come stanno le cose, nella fetta di popolazione più istruita? Mostrando un set di 10 mappe meteorologiche ad un campione di 120 studenti iscritti a corsi di laurea in discipline scientifiche,  solamente 28 hanno individuato correttamente quali campi meteorologici erano desumibili dalla mappa o se la mappa loro mostrata fosse una mappa di analisi o di previsione ed infine solamente 14 hanno risposto correttamente al set di domande sottoposte mediante un questionario.

Questa pubblicazione, si pone l’obiettivo di far conoscere meglio i vari tipi di dati che vengono utilizzati per produrre le mappe meteorologiche e di illustrare le modalità di osservazione del tempo, il sistema di accentramento e diffusione dei dati rilevati ed infine  le modalità con cui si arriva a produrre i campi che giornalmente ci vengono presentati sulle svariate mappe meteorologiche.

 

1. Un po’ di storia

La meteorologia nel 1800

Uno dei primi fisici a dare il proprio contributo, fu il francese Gaspard Gustave de Coriolis (1792-1843). Nel formulare il teorema dell’accelerazione del moto relativo per i sistemi meccanici in rotazione, egli introduceva il concetto di accelerazione complementare e della corrispondente forza “apparente” che porta il suo nome, forza che risulta agire perpendicolarmente al moto, con conseguente effetto deviante sul moto stesso. Nonostante tale forza giochi un ruolo fondamentale nella dinamica dell’atmosfera, va fatto rilevare che il suo autore non prestò particolare attenzione circa la possibilità di applicarla a tale fluido. Sarà lo studioso americano William Ferrel a farlo, giustificando così la curvatura delle correnti aeree intorno ai centri di alta e di bassa pressione e grazie ai suoi studi sulla circolazione generale dell’atmosfera, la meteorologia entrò a pieno titolo nel dominio della dinamica dei fluidi. Il periodo che vide uno sviluppo teorico particolarmente intenso fu il decennio 1880-1890, grazie agli studi del fisico e matematico tedesco Hermann von Helmholtz. Partendo dalla forma euleriana delle equazioni generali dell’idrodinamica, lo scienziato intraprese lo studio analitico delle condizioni di equilibrio della superficie di separazione tra masse d’aria. Per spiegare l’origine dei fronti e delle depressioni egli chiamò in causa il concetto di instabilità idrodinamica che troverà la sua applicazione nella teoria del fronte polare e nel modello di ciclone della Scuola meteorologica norvegese. Sarà sempre von Helmholtz a formalizzare il primo principio della termodinamica nel 1847, con la pubblicazione di uno studio sull’argomento. La scoperta della possibilità di trasformare il lavoro in calore e viceversa, aprì alla meteorologia un nuovo orizzonte di ricerca: lo studio delle proprietà termodinamiche dell’atmosfera. Parallelamente agli sviluppi della fisica dell’atmosfera, il XIX secolo vede dei progressi importanti nello studio statistico delle principali grandezze meteorologiche, in primo luogo temperatura e pressione, per poi lasciare man mano il campo allo studio delle tempeste e dei cicloni. Sarà l’ingegnere americano William Redfield a concepire teoricamente per primo la natura vorticosa ed il verso di rotazione dei venti nei cicloni, in senso antiorario nell’emisfero boreale ed in senso orario nell’emisfero australe. Alla teoria di Redfield delle tempeste cicloniche, si contrappose una basata sulla convezione e sul moto centripeto formulata dal connazionale James Pollard Espy. A differenza di Redfield che aveva preferito non azzardare spiegazioni sulla genesi dei cicloni, egli ipotizzò un forte moto ascendente al loro centro, in corrispondenza del minimo di pressione, che conseguentemente richiama aria da tutte le direzioni. Egli, chiaramente ignorava del tutto l’effetto della forza deviante dovuta alla rotazione terrestre, mentre aveva perfettamente compreso  il ruolo del vapore acqueo nella termodinamica dell’atmosfera. Questa sua teoria servirà di base per le teorie convettive dei cicloni in seguito formulate, e per un lungo periodo prevalenti sia in America che in Europa. Lo studio sullo sviluppo dei cicloni fu approfondito dal meteorologo tedesco Heinrich Wilhelm Dove e dall’ammiraglio inglese Robert Fitzroy. Essi arrivarono alla conclusione che i cicloni si sviluppano proprio al confine tra le correnti fredde di origine polare, fredde e secche e quello caldo-umide di origine tropicale, e sono organizzati in famiglie. Scarsi appaiono invece gli studi sugli anticicloni, forse legati anche al fatto che essi sono normalmente accompagnati da tempo bello e stabile.   Sarà comunque l’inglese Francis Galton a scoprire nel 1863 i caratteri peculiari dell’anticiclone e cioè il predominio di venti deboli  al centro, la loro rotazione oraria ed il movimento subsidente della colonna d’aria. A questi due tipi o sistemi barici principali, il meteorologo inglese Ralph Abercromby aggiungerà altri 5 secondari e cioè:

-          promontorio o cuneo: area di alte pressioni che, con isobare generalmente tondeggianti o ad angolo acuto, si protende da un anticiclone verso una zona di basse pressioni;

-          saccatura: corridoio di basse pressioni che con isobare ad angolo acuto si protende da un’area depressionaria;

-          ciclone secondario: centro secondario di bassa pressione;

-          sella: area di relative basse pressioni compresa tra due anticicloni e due depressioni

-          pendio: zona caratterizzata da pressione regolarmente decrescente e delimitata da isobare pressochè rettilinee e parallele.

Presentata dall’autore nel suo libro di carattere divulgativo “Weather”, edito nel 1888, tale classificazione è di interesse non solo storico, essendo a tutt’oggi universalmente adottata.

 

 

Fig. 1  Figure bariche: 1 Anticiclone; 2 Vortice o depressione; 3 Sella; 4 Pendio; 5 Promontorio; 6 Saccatura, 7 Minimo secondario

 

Gli sviluppi della meteorologia sinottica.

Si deve al padre della chimica moderna, Antoine-Laurent de Lavoiser, l’intuizione di poter rappresentare i dati meteorologici, in particolare la pressione, la temperatura e la velocità e direzione del vento, osservati in maniera sincrona e con grande precisione, su una mappa geografica, al fine di prevederne con anticipo di 24-48 ore la probabile evoluzione. Egli pose così le basi allo sviluppo scientifico di una nuova meteorologia: la meteorologia sinottica. Nell’ottobre del 1790 egli enuncia le regole per preveder i cambiamenti del tempo in funzione delle variazioni barometriche, pubblicate su “Literary Magazine”. Lo stesso scienziato si adopera per promuovere una campagna per la creazione di una rete mondiale di stazioni meteorologiche, barometriche in primo luogo, tra loro collegate ed operanti in modo rigorosamente sincrono. Bisognerà aspettare tuttavia almeno altri 50 anni per vedere il progetto di Lavoiser realizzato. Lo spunto venne dalla diffusione mondiale del telegrafo elettrico, strumento che permetteva di trasmettere in maniera rapida i dati meteorologici raccolti dalle stazioni di osservazione e diffondere allo stesso modo gli avvisi di sicurezza che se ne sarebbero potuti ricavare. E’ negli Stati Uniti che la telegrafia venne concretamente applicata alla meteorologia, grazie  al fisico Joseph Henry, il quale propose agli operatori telegrafici dello Smithsonian Institution di sostituire il solito “okay” con cui aprivano le comunicazioni, con un rapporto sul tempo in atto: “sereno”, “pioggia”, “vento” etc.. Nel 1843, vengono prodotte le prime mappe del tempo (Fig.2).

Fig.2 Una delle prime mappe sinottiche prodotte nel 1843 (source http://libweb5.princeton.edu/visual_materials/maps/websites/thematic-maps/quantitative/meteorology/meteorology.html)

Un ulteriore impulso allo sviluppo della moderna meteorologia, avvenne ad opera dell’intensa tempesta che interessò il 14 novembre del 1854 le acque del Mar Nero e che provocò danni ingentissimi alla flotta anglo-francese intervenuta a supporto dei Turchi nella guerra tra Russia ed Impero Ottomano (Guerra di Crimea). La tempesta provocò la morte di circa quattrocento marinai a causa dell’affondamento di 38 tra navi e vascelli tra cui anche il più prestigioso della flotta britannica: l’Enrico IV. A meno di un anno di distanza dalla tempesta, i francesi, grazie all’impegno del famoso astronomo Jean Joseph Le Verrier, costituirono la prima rete meteorologica in senso moderno, composta da ventiquattro stazioni, di cui tredici collegate con l’Osservatorio astronomico di Parigi via telegrafo. Le Verrier, studiando la dinamica della tempesta alla luce delle leggi di circolazione atmosferica all’epoca conosciute, riuscì ad estrapolarne l’evoluzione futura in maniera logica e razionale fornendo il primo approccio veramente scientifico alla complessa questione della previsione del tempo. Nel 1873, durante il congresso di Vienna, le nazioni partecipanti stabiliscono di costituire un’organizzazione internazionale allo scopo di agevolare lo scambio di informazioni meteorologiche oltre i confini nazionali. Nasce così l’Organizzazione Meteorologica Internazionale (I.M.O).

 

Come nasce allora, una moderna mappa meteorologica?

Rispetto alle prime mappe sinottiche cos’è dunque cambiato? Il moderno sistema delle osservazioni meteorologiche, base fondamentale ed imprescindibile per qualsiasi attività meteorologica, conta oggi una miriade di sistemi, sconosciuti all’epoca di Le Verrier, e che comprende, computer, satelliti, reti superveloci di trasmissione dati, strumentazione meteorologica elettronica, radar e molto altro ancora. 

Fig 3 Il sistema globale delle osservazioni (source : public.wmo.int)

Una cosa è rimasta tuttavia quasi immutata dai tempi di Le Verrier: il lavoro dalle quasi 11 mila stazioni di osservazione che, negli orari prestabiliti, eseguono le misure dei principali parametri meteorologici, quali pressione atmosferica, direzione e velocità del vento, temperatura, umidità, copertura nuvoloso, fenomeni in atto etc… Dalle loro osservazioni si estrapola una fotografia “istantanea” di quello che è lo stato del tempo su tutto il pianeta. Questo network di stazioni al suolo contribuisce in maniera significativa al cosiddetto Global Observing System (G.O.S.) (Fig.X), uno dei programmi della World Meteorological Organization (W.M.O.), l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite, nata nel 1950 dalle ceneri dell’I.M.O. e che si occupa principalmente di cooperazione e coordinamento internazionale nel campo della meteorologia, dello stato e comportamento dell’atmosfera e delle sue interazioni con il suolo e gli oceani e del tempo e clima che essa produce. 

Fig. 4 La rete globale delle stazioni meteorologiche di superficie (source www.meted.ucar.edu)

Di queste 11.000 stazioni, circa 4000 costituiscono la rete osservativa sinottica di base (Regional Basic Synoptic Network) e oltre 3000  fanno parte della rete climatologica di base (Regional Basic Climatological Network).

Parallelamente alla rete di stazioni di osservazione al suolo, che si occupano di raccogliere i dati nello strato più basso dell’atmosfera, prossimo al suolo, esiste una rete di stazioni di osservazione in quota, costituita da circa 1300 stazioni, che ad intervalli regolari di 12 ore lancia dei palloni sonda, alla scopo di effettuare le misure dei principali parametri atmosferici in quota fino ad un’altezza di circa 30 chilometri. 

Tutti i dati raccolti da queste reti scambiano regolarmente i dati in tempo reale. Lo scambio e la circolazione dei dati meteorologici avviene attraverso un altro programma del WMO, il Global Telecommunication System (GTS) definito come: "The co-ordinated global system of telecommunication facilities and arrangements for the rapid collection, exchange and distribution of observations and processed information within the framework of the World Weather Watch."

 

Cap.2 Panoramica sulle mappe meteorologiche e sui simboli in essa contenuti

 Tipi di osservazione

Ogni stazione meteorologica, sia essa completamente automatizzata o dotata di personale osservatore meteo, deve compiere delle misure meteorologiche, tradurle in un codice meteorologico standard o messaggio, archiviarle su un adeguato supporto (cartaceo fino a qualche anno fa) ed immettere tale massaggio sul G.T.S. in modo tale che tutto il mondo abbia a disposizione in tempo reale, tale informazione. Mentre per le stazioni automatiche l’intero processo è quasi istantaneo e gestito integralmente dall’elettronica, nelle stazioni dotate di personale esso si svolge sostanzialmente senza notevoli differenze rispetto ad un secolo fa.

Circa 10 minuti prima dell’ora dell’osservazione, l’operatore esegue le letture degli strumenti, prelevando temperatura, umidità dell’aria, direzione e forza del vento, pressione etc. Esegue altresì delle osservazioni a vista che permettono di quantificare il tipo, l’altezza e la quantità di nubi presenti in prossimità del punto di osservazione, della visibilità orizzontale e gli eventuali fenomeni visibili all’orizzonte.

Il passaggio successivo, fino a qualche decennio fa, comprendeva la compilazione del cosiddetto “quaderno di stazione” su cui venivano annottate tutte le misure prelevate agli strumenti. Oggi i dati si inseriscono su appositi software che si occupano anche della codifica secondo gli standard in uso. Il codice meteorologico universalmente adottato si chiama “SYNOP” e contiene in forma sintetica tutti quei dati che permettono a qualsiasi meteorologo, in qualsiasi località del pianeta, di conoscere esattamente il tempo osservato in qualsiasi località sede di stazione meteorologica.

Il Synop è un codice numerico composto da gruppi di cinque numeri disposti in maniera tale che ogni gruppo del codice rappresenta univocamente un tipo di dato.  Per esempio,

“SMIY01 111800 16429 11462 73504 10044 20021 30009 40021 55005 60232 72196 85360 333 20040 32/// 55005 2//// 55300 82915 83818 85356”

è il formato synop della stazione di Sigonella di giorno 11 alle 1800 UTC in cui il vento era da 350° 4 nodi, la temperatura di 4,4°C e così via.

Per approfondimenti si rimanda alle specifiche pubblicazioni. Si tratta di un messaggio specifico per la meteorologia sinottica e viene prodotto simultaneamente dalle stazioni di tutto il pianeta a partire dalle 00 UTC, ad intervalli di 3 ore.

Per poter plottare su una mappa le osservazioni sinottiche, si è comunque reso necessario adottare una serie di forme, capaci di tradurre i dati osservati in simboli grafici.

 

Fig 5 Simboli meteorologici universalmente riconosciuti

Il risultato di quest’ultimo processo porta  ad indicare su una mappa, in corrispondenza della località, un gruppo di simboli e numeri capaci di riassumere e sintetizzare tutto il processo di osservazione, definiti “station plot”. 

Fig 6 Station plot

Oltre al “Synop”, che risulta essere il formato di scambio di dati meteo più diffuso, esistono anche altri tipi di codici, che vengono utilizzati soprattutto in ambito aeronautico; è il caso ad esempio del formato “METAR”, un codice meteorologico aeronautico impiegato per le osservazione eseguite presso le stazioni meteorologiche aeroportuali. Caratteristica del “Metar” è la celerità di preparazione e diffusione, a discapito della precisione. In questo messaggio i dati misurati sono arrotondati all’unità e non compaiono cifre decimali. E’ anch’esso un codice alfanumerico, di più chiara lettura rispetto al Synop, che contiene le principali informazioni meteorologiche che possono essere utili per la navigazione aerea.

“Metar LICC 182200Z 35008KT 9999 RA SCT020 BKN035 OVC090 12/10 Q1010” è ad esempio il Metar di Catania la cui codifica è rimandata agli appositi manuali.   

Analogamente a quanto avviene per le stazioni al suolo, le stazioni che si occupano di raccogliere i dati un quota, iniziano l’attività osservativa molto prima dell’ora di osservazione. Esse infatti hanno il delicato compito di preparare la strumentazione necessaria a raccogliere i dati. Si tratta delle radiosonde, ovvero di piccoli box in polistirolo, che racchiudono al proprio interno i sensori di misura della temperatura, pressione e umidità oltre all’elettronica per la trasmissione dei dati alla stazione a terra.  

 

 Fig.7 Componenti di una moderna radiosonda

Tali apparecchiature, agganciate ad un pallone gonfiato con Elio e rilasciato simultaneamente da tutte le stazioni alle 00 e alle 12 UTC, inviano i dati di temperatura, umidità e pressione, oltre al vento calcolato mediante l’uso di GPS, alla stazione ricevente.

 

Fig.8 Lancio di una radiosonda presso la stazione Mario Zucchelli in Antartide 

Allo scoppio del pallone, che normalmente avviene tra i 20 ed i 30 chilometri di altitudine, e comunque dopo un’ora dal momento del lancio, i dati trasmessi a terra vengono codificati in un messaggio denominato “TEMP” ed inoltrati ai centri di raccolta attraverso la rete GTS. I messaggi “TEMP”, oltre agli identificativi di stazione e ai gruppi data-orario, contengono i dati di temperatura, umidità e vento alle varie quote barometriche toccate dalla radiosonda. Tali dati posso essere plottati sulle mappe mediante la nota simbologia dello station plot, leggermente modificata, oppure venire analizzati mediante dei diagrammi termodinamici dell’atmosfera, che riassumono le caratteristiche della colonna d’aria attraversata dal radiosondaggio.

 

Fig 9 Sondaggio termodinamico dell’atmosfera.

Cap.3 Mappe di analisi al suolo e mappe in quota

L’enorme mole di dati che ad intervalli regolari affluiscono, attraverso il GTS, ai Centri Meteorologici di tutto il mondo, costituiscono la materia prima per l’avvio del processo di produzione delle mappe di analisi. Il primo passaggio, che permetterà di arrivare alla stampa della mappa meteorologica definitiva, prevede che i dati meteorologici, trasformati in simboli grafici, vengono plottati su una mappa, in corrispondenza della posizione geografica della stazione di osservazione. E’ tuttavia evidente che, a causa dell’eccessivo affollamento di dati presenti, questo tipo di rappresentazione mal si presta ad essere utilizzato per qualsivoglia analisi. Il passaggio successivo sarà pertanto quello di costruire delle linee di isovalori, utilizzando i dati misurati alle stazioni, e di rappresentare tali linee su una mappa ripulita sfoltendo la maggior parte di station plot e lasciando solo i più significativi. L’esempio che segue, mostra una mappa di analisi contenente il campo barico al suolo, rappresentato dalle isobare (linee marroni), in cui sono state lasciate solamente alcune station plot.

 

Fig.10 Mappa di analisi in cui è plottato il campo della pressione al suolo rappresentato mediante isobare (linee marroni) Per alcune località è rappresentato lo station plot.

Procedendo analogamente è possibile tracciare isolinee dei principali dati osservati: isobare per la pressione, isoterme per la temperatura, isoallobare per la tendenza barometrica, isoigrometriche per l’umidità, isotache per la velocità del vento e così via. Il risultato definitivo sarà una mappa contenente uno o più campi, rappresentati mediante isolinee, di facile lettura e interpretazione.

 

Fig. 11 Mappa meteo con solo isobare

 

 

Fig. 12 Mappa con Isobare + isoterme

Il processo di produzione delle mappe in quota, non differisce molto da quello al suolo. Tuttavia occorre precisare che in esse, in luogo della pressione, vengono rappresentate le altezze delle superfici isobariche. Per questo motivo le carte in quota si chiamano anche topografie assolute e le quote vengono espresse in altezze geopotenziali, termine che si ottiene dal rapporto tra geopotenziale, ovvero il lavoro necessario a vincere la forza di gravità e spostare verso l'alto, ad una determinata altezza, una massa unitaria d'aria, e forza di gravità media al livello del mare.

 

Fig. 13 Topografia assoluta a 500 hPa + Temperature + Station plot

 

Dall’analisi delle forme bariche alla previsione

Da una mappa di analisi barica al suolo è possibile desumere una mole di informazioni ricchissima è di grande aiuto per la comprensione dei fenomeni meteorologici.

Analizziamo ad esempio la mappa al suolo di Fig. 11 . La prima operazione che possiamo compiere è quella di individuare e segnare i centri di alta e di bassa pressione indicandoli con H (high) e L (Low) e di evidenziare l’isobara che separa le due aree. In mappa adesso avremmo individuato due zone i cui valori di pressione sono rispettivamente più bassi e più alti dell’isobara evidenziata. Sulle mappe dei principali Centri Meteorologici Mondiali, le isobare sono normalmente spaziate di 4 hPa. Facciamo qualche considerazione sull’area di bassa pressione presente sulla Basilicata. L’aria inizierà a muoversi verso la bassa pressione (esattamente come avviene ad un pallone da calcio libero di rotolare su un pendio), soggetta alla forza di gradiente PGF data dal rapporto tra la differenza di pressione e la distanza tra due punti:

Ciò significa che laddove le isobare risultano ravvicinate (massimo gradiente) avremo le massime velocità del vento, mentre laddove le isobare risultano molto distanziate avremo venti deboli o assenti. In figura queste due situazioni sono rispettivamente presenti tra la Bosnia e le coste Adriatiche (max gradiente) e a sud della Sardegna (min gradiente). Tuttavia, come intuito da Coriolis oltre 2 secoli fa, le masse in movimento sulla superficie terrestre, sono soggette all’omonima forza CoF e vengono pertanto deviate, nel loro moto iniziale, verso destra nel nostro emisfero e verso sinistra nell’emisfero australe.

Pertanto nel caso ipotetico di isobare rettilinee e parallele e trascurando per il momento ogni forma di attrito, il vento risultante dal bilancio tra la forza di Coriolis e la forza di gradiente, darà origine a quello che chiameremo vento geostrofico Vg :

 

Il vento geostrofico risulterà essere pertanto parallelo alle isobare. Tuttavia una massa d’aria in movimento su una superficie quale quella terrestre, sarà soggetta a delle resistenze di attrito Fr che dipendono dalla rugosità della superficie e che agiscono in senso opposto al moto.  Introducendo pertanto tale forza in nuovo equilibrio sarà il seguente:

 

 

La risultante di questo nuovo equilibrio sarà un vento (ageostrofico) che tenderà a tagliare le isobare puntando verso le basse pressioni, con un angolo che sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà l’attrito. Sul mare e su superfici molto lisce tale angolo risulta compreso tra 10 e 30 gradi, mentre su terraferma o zone montuose si può arrivare a superare anche i 60-70 gradi. Queste sole considerazioni ci permettono adesso di comprendere che la disposizione del vento al suolo seguirà le isobare, convergendo, con un angolo compreso tra 10 e 40 gradi, verso le basse pressioni. Inoltre le medesime considerazioni ci permettono di stabilire che nel caso di circolazioni chiuse di alta o di bassa pressione, i venti assumeranno una rotazione antioraria (o ciclonica) intorno ai centri di bassa pressione, e oraria (o anticiclonica) intorno a centri di alta pressione. Per le considerazioni fatte sull’attrito essi tenderanno a divergere dalle alte pressioni e a convergere verso le basse.

 

 

Fig.16 Moto dell'aria intorno alle basse e alle alte pressioni nell'emisfero Nord

La convergenza che si manifesta attorno ai centri di bassa pressione, è uno dei meccanismi che produce il sollevamento delle masse d’aria. Quando la massa d’aria umida che converge attorno ai centri di bassa pressione inizia il processo di sollevamento, si espande e si raffredda, condensando il vapore acqueo che contiene e dando origine alla nuvolosità tipica delle zone di bassa pressione. Viceversa, la divergenza prodotta dai centri di alta pressione richiama aria dall’alto che scendendo di quota viene compressa e riscaldata, favorendo la dissipazione di eventuali nubi presenti.

Dalla meteorologia sinottica alla analisi delle serie storiche.

 

L’enorme mole di dati osservati ed archiviati con continuità dalle stazioni meteorologiche di tutto il mondo, ha rappresentato una delle risorse più importanti, per lo sviluppo di nuove branche della meteorologia quali ad esempio la meteorologia statistica e la climatologia. Una delle questioni chiave che si pose infatti subito dopo l’invenzione dei primi strumenti di misura, fu cosa fare e come utilizzare le serie di dati raccolte dai vari osservatori meteorologici. Le prime analisi statistiche applicate ai dati meteorologici, furono delle semplici statistiche descrittive, ovvero lo studio della variabilità di un fenomeno a partire dai dati rilevati. Nacquero così i primi tentativi di classificare i climi delle varie località, in funzione delle temperature e delle precipitazioni medie che si verificano nel corso dell’anno. Nel 1817 Alexander von Humboldt disegnò la prima mappa delle temperature medie del pianeta. Wladimir Koeppen (1846-1940) migliorò tale rappresentazione, inserendo anche l’intervallo di variazione stagionale delle temperature per ogni località, realizzando così una prima classificazione dei climi. Questa classificazione, in analogia a quella della piante, realizzata da Linnaeus nel 1735, era essenzialmente gerarchica, con categorie principali suddivise in sottocategorie e così via. Koeppen infatti aveva inizialmente studiato botanica a St Petersburg, dopo il completamento di un dottorato di ricerca a Heidelberg sull'effetto della temperatura sulla crescita delle piante. A livello più alto il sistema si basa su cinque tipi principali di clima, sviluppati dalla sua categorizzazione nel 1884 di zone termiche adatte a vari tipi di vegetazione (Fig. 17)

 

 Fig.17 La prima mappa di classificazione del clima di Koeppen

In 1924 Koeppen divenne professore associato all’Università di Gradz ed insieme a Rudolf Geiger (1894-1981) rividero il sistema di classificazione dei climi. Geiger, dopo una prolungata serie di misure meteorologiche effettuate in prossimità del terreno,  introdusse anche la disciplina della Microclimatologia, allo scopo di descrivere e comprendere il “clima vicino al terreno” (titolo anche del suo libro tradotto in inglese nel 1960) e le sue variazioni dovute alla topografia e uso del suolo.    

Negli Stati Uniti, Warren Thornthwaite (1892-1963) sviluppò anch’egli una classificazione gerarchica nel 1931, tenendo conto essenzialmente dell’andamento annuale dell’umidità del suolo determinata dal bilancio tra le precipitazioni e l’evotraspirazione.

Parallelamente a queste descrizioni del clima basate fondamentalmente su considerazioni di carattere statistico, si svilupparono anche delle tecniche di analisi delle serie storiche che, partendo dall’analisi dei dati osservati, fosse in grado di desumere e ricostruire le dinamiche stesse del clima. L’analisi di Fourier applicata a una serie temporale α(t) è una tecnica che consente di studiare il segnale α nel dominio delle frequenze, grazie alla decomposizione della funzione temporale stessa in un numero infinito di armoniche (onde fondamentali), in cui l’ampiezza di ciascuna armonica rappresenta il peso che essa ha nel segnale originario. La decomposizione in armoniche è espressa dalla funzione antitrasformata di Fourier, definita come

 

laddove la relazione inversa, la trasformata di Fourier, è definita come

 con i unità immaginaria, ω frequenza angolare dell’armonica (rad/s), dati ω = 2π/T e T periodo dell’armonica in secondi. L’analisi nel dominio delle frequenze viene condotta per evidenziare alcune proprietà non immediatamente riconoscibili nella rappresentazione temporale di un segnale. L’analisi spettrale dei dati climatici è oggi una tecnica largamente utilizzata in tutto il mondo e grazie ad essa molti lati oscuri e poco conosciuti del sistema climatico terrestre sono stati svelati. Grazie ad analisi effettuate su dati paleoclimatici è stato possibile, ad esempio, ricostruire e correlare la durata dei cicli astronomici con le glaciazioni terrestri. Ulteriori sviluppi di cui ha beneficiato la Meteorologia e la Climatologia sono arrivati senza dubbio dall’impiego dell’analisi wavelet.

L’analisi Wavelet è un potente strumento matematico in grado di  fornire una rappresentazione tempo-frequenza di un qualsiasi segnale analizzato nel dominio del tempo (Percival e Valden, 2000). Nel caso di serie meteorologiche e climatologiche questo tipo di analisi risulta essere particolarmente apprezzata essendo in grado di estrarre informazioni preziose dal segnale. Rispetto per esempio alla semplice trasformata di Fourier, le Wavelet permettono di ritrovare non solo in valore di determinate frequenze presenti in una serie non stazionaria, ma di individuare anche l’intervallo di tempo in cui tali frequenze sono state presenti e predominanti. Tali raffinati strumenti sono stati utilizzati in diversi studi di climatologia e la letteratura scientifica e ricca di esempi in tal senso (Baliunas et al. 1997, Torrence e Compo 1998, Park e Mann 2000 etc). Utilizzando la decomposizione Wavelet, è per esempio possibile estrarre da una serie storica di dati, delle informazioni sulle dinamiche climatiche.

 

Fig.18  Esempio di spettro Wavelet su una serie storica di temperature di Cozzo Spadaro (SR)

 

 

References

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Torrence C., Compo G., 1998, A practical Guide to Wavelet Analysis, Bulletin of the American Meteorological Society, Vol. 79: 61-78.

Köppen, W., 1884: Die Wärmezonen der Erde, nach der Dauer der heissen, gemässigten und kalten Zeit und nach der Wirkung der Wärme auf die organische Welt betrachtet
 

 

 

 

 

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