Come vengono realizzate e come si leggono correttamente le mappe meteorologiche? Breve storia della meteorologia 
		sinottica.
		Introduzione 
		La meteorologia è 
		una scienza estremamente interdisciplinare, che attinge soprattutto alle 
		leggi della fisica e della chimica per aiutarci nella comprensione 
		dell'atmosfera terrestre, dei suoi processi, e la sua struttura. Si 
		tratta di uno studio che ha origini antiche, quando le civiltà del 
		passato hanno iniziato a fare osservazioni e tenere un registro delle 
		condizioni meteorologiche, sia, inizialmente, per scopi agricoli che per 
		mera curiosità generale sul mondo che li circondava. Nel corso dei 
		secoli, l'atmosfera è stata studiata per una serie di motivi, tra cui l’ 
		agricoltura, la difesa militare e la pianificazione e lo sviluppo di 
		tecniche capaci di prevedere in anticipo fenomeni violenti come tornado 
		e uragani. I progressi tecnologici, lo sviluppo del calcolo scientifico 
		e l’aumento del numero totale di osservazioni meteorologiche rilevate 
		ogni giorno in tutto il mondo, hanno permesso di ottenere previsioni più 
		affidabili e una migliore comprensione globale della nostra atmosfera. 
		Ai giorni nostri, oltre un miliardo di persone vengono a contatto con la 
		meteorologia attraverso le innumerevoli applicazioni per smartphone che 
		permettono di conoscere con un anticipo di circa una settimana il tempo 
		che farà su una determinata località. Altre centinaia di migliaia 
		utilizzano a terra, a bordo di navi o in volo su aerei altri prodotti 
		più completi e sofisticati che sono le mappe meteorologiche. Nel mondo 
		occidentale, ogni uomo è più o meno direttamente venuto a contatto 
		nell’arco della sua vita con una mappa meteorologica. I più importanti 
		network televisivi trasmettono ore e ore di programmi informativi sulla 
		meteorologia o meglio sul tempo che farà, mostrando delle mappe 
		meteorologiche semplici, in grado di trasmettere l’informazione, in 
		maniere facile ed immediata, ad un audience non sempre sufficientemente 
		alfabetizzata.  Negli Stati Uniti esiste addirittura un canale 
		televisivo interamente dedicato alle previsioni meteorologiche su cui 24 
		ore al giorno vengono alternate previsioni valide per ogni angolo del 
		pianeta a documentari sulla meteorologia e naturalmente a centinaia di 
		spot pubblicitari che alimentano il business. A questa enorme 
		pervasività delle previsioni meteorologiche e delle sue applicazioni 
		nella vita di gran parte degli abitanti del pianeta, si contrappone una 
		scarsa comprensione dei fenomeni meteorologici e delle leggi che 
		governano la scienza dell’atmosfera da parte dei generici utenti. Ma 
		come stanno le cose, nella fetta di popolazione più istruita? Mostrando 
		un set di 10 mappe meteorologiche ad un campione di 120 studenti 
		iscritti a corsi di laurea in discipline scientifiche,  solamente 28 
		hanno individuato correttamente quali campi meteorologici erano 
		desumibili dalla mappa o se la mappa loro mostrata fosse una mappa di 
		analisi o di previsione ed infine solamente 14 hanno risposto 
		correttamente al set di domande sottoposte mediante un questionario. 
		Questa pubblicazione, 
		si pone l’obiettivo di far conoscere meglio i vari tipi di dati che 
		vengono utilizzati per produrre le mappe meteorologiche e di illustrare 
		le modalità di osservazione del tempo, il sistema di accentramento e 
		diffusione dei dati rilevati ed infine  le modalità con cui si arriva a 
		produrre i campi che giornalmente ci vengono presentati sulle svariate 
		mappe meteorologiche. 
		   
		1. Un po’ di storia 
		 
		La meteorologia nel 1800 
		Uno dei primi fisici a dare il 
		proprio contributo, fu il francese Gaspard Gustave de Coriolis 
		(1792-1843). Nel formulare il teorema dell’accelerazione del moto 
		relativo per i sistemi meccanici in rotazione, egli introduceva il 
		concetto di accelerazione complementare e della corrispondente forza 
		“apparente” che porta il suo nome, forza che risulta agire 
		perpendicolarmente al moto, con conseguente effetto deviante sul moto 
		stesso. Nonostante tale forza giochi un ruolo fondamentale nella 
		dinamica dell’atmosfera, va fatto rilevare che il suo autore non prestò 
		particolare attenzione circa la possibilità di applicarla a tale fluido. 
		Sarà lo studioso americano William Ferrel a farlo, giustificando così la 
		curvatura delle correnti aeree intorno ai centri di alta e di bassa 
		pressione e grazie ai suoi studi sulla circolazione generale 
		dell’atmosfera, la meteorologia entrò a pieno titolo nel dominio della 
		dinamica dei fluidi. Il periodo che vide uno sviluppo teorico 
		particolarmente intenso fu il decennio 1880-1890, grazie agli studi del 
		fisico e matematico tedesco Hermann von Helmholtz. Partendo dalla forma 
		euleriana delle equazioni generali dell’idrodinamica, lo scienziato 
		intraprese lo studio analitico delle condizioni di equilibrio della 
		superficie di separazione tra masse d’aria. Per spiegare l’origine dei 
		fronti e delle depressioni egli chiamò in causa il concetto di 
		instabilità idrodinamica che troverà la sua applicazione nella teoria 
		del fronte polare e nel modello di ciclone della Scuola meteorologica 
		norvegese. Sarà sempre von Helmholtz a formalizzare il primo principio 
		della termodinamica nel 1847, con la pubblicazione di uno studio 
		sull’argomento. La scoperta della possibilità di trasformare il lavoro 
		in calore e viceversa, aprì alla meteorologia un nuovo orizzonte di 
		ricerca: lo studio delle proprietà termodinamiche dell’atmosfera. 
		Parallelamente agli sviluppi della fisica dell’atmosfera, il XIX secolo 
		vede dei progressi importanti nello studio statistico delle principali 
		grandezze meteorologiche, in primo luogo temperatura e pressione, per 
		poi lasciare man mano il campo allo studio delle tempeste e dei cicloni. 
		Sarà l’ingegnere americano William Redfield a concepire teoricamente per 
		primo la natura vorticosa ed il verso di rotazione dei venti nei 
		cicloni, in senso antiorario nell’emisfero boreale ed in senso orario 
		nell’emisfero australe. Alla teoria di Redfield delle tempeste 
		cicloniche, si contrappose una basata sulla convezione e sul moto 
		centripeto formulata dal connazionale James Pollard Espy. A differenza 
		di Redfield che aveva preferito non azzardare spiegazioni sulla genesi 
		dei cicloni, egli ipotizzò un forte moto ascendente al loro centro, in 
		corrispondenza del minimo di pressione, che conseguentemente richiama 
		aria da tutte le direzioni. Egli, chiaramente ignorava del tutto 
		l’effetto della forza deviante dovuta alla rotazione terrestre, mentre 
		aveva perfettamente compreso  il ruolo del vapore acqueo nella 
		termodinamica dell’atmosfera. Questa sua teoria servirà di base per le 
		teorie convettive dei cicloni in seguito formulate, e per un lungo 
		periodo prevalenti sia in America che in Europa. Lo studio sullo 
		sviluppo dei cicloni fu approfondito dal meteorologo tedesco Heinrich 
		Wilhelm Dove e dall’ammiraglio inglese Robert Fitzroy. Essi arrivarono 
		alla conclusione che i cicloni si sviluppano proprio al confine tra le 
		correnti fredde di origine polare, fredde e secche e quello caldo-umide 
		di origine tropicale, e sono organizzati in famiglie. Scarsi appaiono 
		invece gli studi sugli anticicloni, forse legati anche al fatto che essi 
		sono normalmente accompagnati da tempo bello e stabile.   Sarà comunque 
		l’inglese Francis Galton a scoprire nel 1863 i caratteri peculiari 
		dell’anticiclone e cioè il predominio di venti deboli  al centro, la 
		loro rotazione oraria ed il movimento subsidente della colonna d’aria. A 
		questi due tipi o sistemi barici principali, il meteorologo inglese 
		Ralph Abercromby aggiungerà altri 5 secondari e cioè: 
		
		-         
		promontorio o cuneo: 
		area di alte pressioni che, con isobare generalmente tondeggianti o ad 
		angolo acuto, si protende da un anticiclone verso una zona di basse 
		pressioni; 
		
		-         
		saccatura: 
		corridoio di basse pressioni che con isobare ad angolo acuto si protende 
		da un’area depressionaria; 
		
		-         
		ciclone secondario: 
		centro secondario di bassa pressione; 
		
		-         
		sella: area 
		di relative basse pressioni compresa tra due anticicloni e due 
		depressioni 
		
		-         
		pendio: zona 
		caratterizzata da pressione regolarmente decrescente e delimitata da 
		isobare pressochè rettilinee e parallele. 
		Presentata dall’autore nel suo 
		libro di carattere divulgativo “Weather”, edito nel 1888, tale 
		classificazione è di interesse non solo storico, essendo a tutt’oggi 
		universalmente adottata. 
		  
		  
		
		  
		Fig. 1  
		Figure bariche: 1 Anticiclone; 2 Vortice o depressione; 3 Sella; 4 
		Pendio; 5 Promontorio; 6 Saccatura, 7 Minimo secondario 
		  
		Gli sviluppi della 
		meteorologia sinottica. 
		Si deve al padre della chimica 
		moderna, Antoine-Laurent de Lavoiser, l’intuizione di poter 
		rappresentare i dati meteorologici, in particolare la pressione, la 
		temperatura e la velocità e direzione del vento, osservati in maniera 
		sincrona e con grande precisione, su una mappa geografica, al fine di 
		prevederne con anticipo di 24-48 ore la probabile evoluzione. Egli pose 
		così le basi allo sviluppo scientifico di una nuova meteorologia: la 
		meteorologia sinottica. Nell’ottobre del 1790 egli enuncia le regole per 
		preveder i cambiamenti del tempo in funzione delle variazioni 
		barometriche, pubblicate su “Literary Magazine”. Lo stesso scienziato si 
		adopera per promuovere una campagna per la creazione di una rete 
		mondiale di stazioni meteorologiche, barometriche in primo luogo, tra 
		loro collegate ed operanti in modo rigorosamente sincrono. Bisognerà 
		aspettare tuttavia almeno altri 50 anni per vedere il progetto di 
		Lavoiser realizzato. Lo spunto venne dalla diffusione mondiale del 
		telegrafo elettrico, strumento che permetteva di trasmettere in maniera 
		rapida i dati meteorologici raccolti dalle stazioni di osservazione e 
		diffondere allo stesso modo gli avvisi di sicurezza che se ne sarebbero 
		potuti ricavare. E’ negli Stati Uniti che la telegrafia venne 
		concretamente applicata alla meteorologia, grazie  al fisico Joseph 
		Henry, il quale propose agli operatori telegrafici dello Smithsonian 
		Institution di sostituire il solito “okay” con cui aprivano le 
		comunicazioni, con un rapporto sul tempo in atto: “sereno”, “pioggia”, 
		“vento” etc.. Nel 1843, vengono prodotte le prime mappe del tempo 
		(Fig.2). 
		
		  
		Fig.2 
		Una delle prime mappe 
		sinottiche prodotte nel 1843 
		(source 
		http://libweb5.princeton.edu/visual_materials/maps/websites/thematic-maps/quantitative/meteorology/meteorology.html) 
		Un ulteriore impulso allo sviluppo 
		della moderna meteorologia, avvenne ad opera dell’intensa tempesta che interessò il 14 novembre del 1854 le 
		acque del Mar Nero e che provocò danni ingentissimi alla flotta 
		anglo-francese intervenuta a supporto dei Turchi nella guerra tra Russia 
		ed Impero Ottomano (Guerra di Crimea). La tempesta provocò la morte di 
		circa quattrocento marinai a causa dell’affondamento di 38 tra navi e 
		vascelli tra cui anche il più prestigioso della flotta britannica: 
		l’Enrico IV. A meno di un anno di distanza dalla 
		tempesta, i francesi, grazie all’impegno del famoso astronomo Jean 
		Joseph Le Verrier, costituirono la prima rete meteorologica in senso 
		moderno, composta da ventiquattro stazioni, di cui tredici collegate con 
		l’Osservatorio astronomico di Parigi via telegrafo. Le Verrier, 
		studiando la dinamica della tempesta alla luce delle leggi di 
		circolazione atmosferica all’epoca conosciute, riuscì ad estrapolarne 
		l’evoluzione futura in maniera logica e razionale fornendo il primo 
		approccio veramente scientifico alla complessa questione della 
		previsione del tempo. Nel 1873, durante il congresso di Vienna, le 
		nazioni partecipanti stabiliscono di costituire un’organizzazione 
		internazionale allo scopo di agevolare lo scambio di informazioni 
		meteorologiche oltre i confini nazionali. Nasce così l’Organizzazione 
		Meteorologica Internazionale (I.M.O). 
		  
		Come nasce allora, una 
		moderna mappa meteorologica? 
		Rispetto alle prime mappe 
		sinottiche cos’è dunque cambiato? Il moderno sistema delle 
		osservazioni meteorologiche, base fondamentale ed imprescindibile per 
		qualsiasi attività meteorologica, conta oggi una miriade di sistemi, 
		sconosciuti all’epoca di Le Verrier, e che comprende, computer, 
		satelliti, reti superveloci di trasmissione dati, strumentazione 
		meteorologica elettronica, radar e molto altro ancora.  
		
		  
		Fig 3 
		Il 
		sistema globale delle osservazioni (source : public.wmo.int) 
		Una cosa è rimasta tuttavia quasi 
		immutata dai tempi di Le Verrier: il lavoro dalle quasi 11 mila stazioni 
		di osservazione che, negli orari prestabiliti, eseguono le misure dei 
		principali parametri meteorologici, quali pressione atmosferica, 
		direzione e velocità del vento, temperatura, umidità, copertura 
		nuvoloso, fenomeni in atto etc… Dalle loro osservazioni si estrapola una 
		fotografia “istantanea” di quello che è lo stato del tempo su tutto il 
		pianeta. Questo network di stazioni al suolo contribuisce in maniera 
		significativa al cosiddetto Global Observing System (G.O.S.) (Fig.X), 
		uno dei programmi della World Meteorological Organization (W.M.O.), 
		l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite, nata nel 1950 dalle ceneri 
		dell’I.M.O. e che si occupa principalmente di cooperazione e 
		coordinamento internazionale nel campo della meteorologia, dello stato e 
		comportamento dell’atmosfera e delle sue interazioni con il suolo e gli 
		oceani e del tempo e clima che essa produce.   
		
		  
		Fig. 4 
		La 
		rete globale delle stazioni meteorologiche di superficie (source 
		www.meted.ucar.edu) 
		Di queste 11.000 stazioni, circa 
		4000 costituiscono la rete osservativa sinottica di base (Regional Basic 
		Synoptic Network) e oltre 3000  fanno parte della rete climatologica di 
		base (Regional Basic Climatological Network).  
		Parallelamente alla rete di 
		stazioni di osservazione al suolo, che si occupano di raccogliere i dati 
		nello strato più basso dell’atmosfera, prossimo al suolo, esiste una 
		rete di stazioni di osservazione in quota, costituita da circa 1300 
		stazioni, che ad intervalli regolari di 12 ore lancia dei palloni sonda, 
		alla scopo di effettuare le misure dei principali parametri atmosferici 
		in quota fino ad un’altezza di circa 30 chilometri.   
		Tutti i dati raccolti da queste 
		reti scambiano regolarmente i dati in tempo reale. Lo scambio e la 
		circolazione dei dati meteorologici avviene attraverso un altro 
		programma del WMO, il Global Telecommunication System (GTS) definito 
		come: "The co-ordinated 
		global system of telecommunication facilities and arrangements for the 
		rapid collection, exchange and distribution of observations and 
		processed information within the framework of the World Weather Watch." 
		  
		Cap.2 Panoramica sulle mappe 
		meteorologiche e sui simboli in essa contenuti 
		 Tipi di osservazione 
		Ogni stazione meteorologica, sia 
		essa completamente automatizzata o dotata di personale osservatore 
		meteo, deve compiere delle misure meteorologiche, tradurle in un codice 
		meteorologico standard o messaggio, archiviarle su un adeguato supporto 
		(cartaceo fino a qualche anno fa) ed immettere tale massaggio sul G.T.S. 
		in modo tale che tutto il mondo abbia a disposizione in tempo reale, 
		tale informazione. Mentre per le stazioni automatiche l’intero processo 
		è quasi istantaneo e gestito integralmente dall’elettronica, nelle 
		stazioni dotate di personale esso si svolge sostanzialmente senza 
		notevoli differenze rispetto ad un secolo fa.  
		Circa 10 minuti prima dell’ora 
		dell’osservazione, l’operatore esegue le letture degli strumenti, 
		prelevando temperatura, umidità dell’aria, direzione e forza del vento, 
		pressione etc. Esegue altresì delle osservazioni a vista che permettono 
		di quantificare il tipo, l’altezza e la quantità di nubi presenti in 
		prossimità del punto di osservazione, della visibilità orizzontale e gli 
		eventuali fenomeni visibili all’orizzonte. 
		Il passaggio successivo, fino a 
		qualche decennio fa, comprendeva la compilazione del cosiddetto 
		“quaderno di stazione” su cui venivano annottate tutte le misure 
		prelevate agli strumenti. Oggi i dati si inseriscono su appositi 
		software che si occupano anche della codifica secondo gli standard in 
		uso. Il codice meteorologico universalmente adottato si chiama “SYNOP” e 
		contiene in forma sintetica tutti quei dati che permettono a qualsiasi 
		meteorologo, in qualsiasi località del pianeta, di conoscere esattamente 
		il tempo osservato in qualsiasi località sede di stazione meteorologica. 
		Il Synop è un codice numerico 
		composto da gruppi di cinque numeri disposti in maniera tale che ogni 
		gruppo del codice rappresenta univocamente un tipo di dato.  Per 
		esempio,  
		“SMIY01 111800 16429 11462 73504 
		10044 20021 30009 40021 55005 60232 72196 85360 333 20040 32/// 55005 
		2//// 55300 82915 83818 85356”  
		è il formato synop della stazione 
		di Sigonella di giorno 11 alle 1800 UTC in cui il vento era da 350° 4 
		nodi, la temperatura di 4,4°C e così via. 
		Per approfondimenti si rimanda alle 
		specifiche pubblicazioni. Si tratta di un messaggio specifico per la 
		meteorologia sinottica e viene prodotto simultaneamente dalle stazioni 
		di tutto il pianeta a partire dalle 00 UTC, ad intervalli di 3 ore.
		 
		Per poter plottare su una mappa le 
		osservazioni sinottiche, si è comunque reso necessario adottare una 
		serie di forme, capaci di tradurre i dati osservati in simboli grafici. 
		   
		
		  
		Fig 5 
		Simboli meteorologici universalmente riconosciuti 
		Il risultato di quest’ultimo 
		processo porta  ad indicare su una mappa, in corrispondenza della 
		località, un gruppo di simboli e numeri capaci di riassumere e 
		sintetizzare tutto il processo di osservazione, definiti “station 
		plot”.  
		
		  
		Fig 6 
		Station plot 
		Oltre al “Synop”, che risulta 
		essere il formato di scambio di dati meteo più diffuso, esistono anche 
		altri tipi di codici, che vengono utilizzati soprattutto in ambito 
		aeronautico; è il caso ad esempio del formato “METAR”, un codice 
		meteorologico aeronautico impiegato per le osservazione eseguite presso 
		le stazioni meteorologiche aeroportuali. Caratteristica del “Metar” è la 
		celerità di preparazione e diffusione, a discapito della precisione. In 
		questo messaggio i dati misurati sono arrotondati all’unità e non 
		compaiono cifre decimali. E’ anch’esso un codice alfanumerico, di più 
		chiara lettura rispetto al Synop, che contiene le principali 
		informazioni meteorologiche che possono essere utili per la navigazione 
		aerea. 
		“Metar LICC 182200Z 35008KT 9999 RA 
		SCT020 BKN035 OVC090 12/10 Q1010” è ad esempio il Metar di Catania la 
		cui codifica è rimandata agli appositi manuali.    
		Analogamente a quanto avviene per 
		le stazioni al suolo, le stazioni che si occupano di raccogliere i dati 
		un quota, iniziano l’attività osservativa molto prima dell’ora di 
		osservazione. Esse infatti hanno il delicato compito di preparare la 
		strumentazione necessaria a raccogliere i dati. Si tratta delle 
		radiosonde, ovvero di piccoli box in polistirolo, che racchiudono al 
		proprio interno i sensori di misura della temperatura, pressione e 
		umidità oltre all’elettronica per la trasmissione dei dati alla stazione 
		a terra.    
		  
		
		  
		 Fig.7 Componenti di una 
		moderna radiosonda 
		Tali apparecchiature, agganciate ad 
		un pallone gonfiato con Elio e rilasciato simultaneamente da tutte le 
		stazioni alle 00 e alle 12 UTC, inviano i dati di temperatura, umidità e 
		pressione, oltre al vento calcolato mediante l’uso di GPS, alla stazione 
		ricevente.  
		   
		Fig.8 Lancio di una radiosonda presso la 
		stazione Mario Zucchelli in Antartide  
		Allo scoppio del pallone, che 
		normalmente avviene tra i 20 ed i 30 chilometri di altitudine, e 
		comunque dopo un’ora dal momento del lancio, i dati trasmessi a terra 
		vengono codificati in un messaggio denominato “TEMP” ed inoltrati ai 
		centri di raccolta attraverso la rete GTS. I messaggi “TEMP”, oltre agli 
		identificativi di stazione e ai gruppi data-orario, contengono i dati di 
		temperatura, umidità e vento alle varie quote barometriche toccate dalla 
		radiosonda. Tali dati posso essere plottati sulle mappe mediante la nota 
		simbologia dello station plot, leggermente modificata, oppure venire 
		analizzati mediante dei diagrammi termodinamici dell’atmosfera, che 
		riassumono le caratteristiche della colonna d’aria attraversata dal 
		radiosondaggio. 
		   
		Fig 9 
		Sondaggio termodinamico dell’atmosfera. 
		Cap.3 Mappe di analisi al suolo 
		e mappe in quota 
		L’enorme mole di dati che ad 
		intervalli regolari affluiscono, attraverso il GTS, ai Centri 
		Meteorologici di tutto il mondo, costituiscono la materia prima per 
		l’avvio del processo di produzione delle mappe di analisi. Il primo 
		passaggio, che permetterà di arrivare alla stampa della mappa 
		meteorologica definitiva, prevede che i dati meteorologici, trasformati 
		in simboli grafici, vengono plottati su una mappa, in corrispondenza 
		della posizione geografica della stazione di osservazione. E’ tuttavia evidente 
		che, a causa 
		dell’eccessivo affollamento di dati presenti, questo tipo di 
		rappresentazione mal si presta ad essere utilizzato per qualsivoglia 
		analisi. Il passaggio successivo sarà pertanto quello di costruire delle 
		linee di isovalori, utilizzando i dati misurati alle stazioni, e di 
		rappresentare tali linee su una mappa ripulita sfoltendo la maggior 
		parte di station plot e lasciando solo i più significativi. L’esempio 
		che segue, mostra una mappa di analisi contenente il campo barico al 
		suolo, rappresentato dalle isobare (linee marroni), in cui sono state 
		lasciate solamente alcune station plot.  
		
		   
		Fig.10 
		
		Mappa di analisi in cui è plottato il campo della pressione al suolo 
		rappresentato mediante isobare (linee marroni) Per alcune località è 
		rappresentato lo station plot. 
		Procedendo analogamente è possibile 
		tracciare isolinee dei principali dati osservati: isobare per la 
		pressione, isoterme per la temperatura, isoallobare per la tendenza 
		barometrica, isoigrometriche per l’umidità, isotache per la velocità del 
		vento e così via. Il risultato definitivo sarà una mappa contenente uno 
		o più campi, rappresentati mediante isolinee, di facile lettura e 
		interpretazione. 
		  
		
		  
		Fig. 11 
		Mappa meteo con solo isobare 
		  
		
		   
		Fig. 12 
		Mappa con 
		Isobare + isoterme 
		Il processo di produzione delle 
		mappe in quota, non differisce molto da quello al suolo. Tuttavia 
		occorre precisare che in esse, in luogo della pressione, vengono 
		rappresentate le altezze delle superfici isobariche. Per questo motivo 
		le carte in quota si chiamano anche topografie assolute e le 
		quote vengono espresse in altezze geopotenziali, termine che 
		si ottiene dal rapporto tra 
		geopotenziale, ovvero il lavoro necessario a 
		vincere la forza di gravità e spostare verso 
		l'alto, ad una determinata altezza, 
		una massa unitaria d'aria, e 
		forza di gravità media al livello del mare. 
		   
		Fig. 13 
		Topografia assoluta a 500 hPa + Temperature + Station plot 
		  
		Dall’analisi delle forme bariche 
		alla previsione 
		Da una mappa di analisi barica al 
		suolo è possibile desumere una mole di informazioni ricchissima è di 
		grande aiuto per la comprensione dei fenomeni meteorologici. 
		Analizziamo ad esempio la mappa al 
		suolo di Fig. 11 . La prima operazione che possiamo compiere è quella di 
		individuare e segnare i centri di alta e di bassa pressione indicandoli 
		con H (high) e L (Low) e di evidenziare l’isobara che separa le due 
		aree. In mappa adesso avremmo individuato due zone i cui valori di 
		pressione sono rispettivamente più bassi e più alti dell’isobara 
		evidenziata. Sulle mappe dei principali Centri Meteorologici Mondiali, 
		le isobare sono normalmente spaziate di 4 hPa. Facciamo qualche 
		considerazione sull’area di bassa pressione presente sulla Basilicata. 
		L’aria inizierà a muoversi verso la bassa pressione (esattamente come 
		avviene ad un pallone da calcio libero di rotolare su un pendio), 
		soggetta alla forza di gradiente PGF data dal rapporto tra la 
		differenza di pressione e 
		la distanza tra due punti:  
		
		  
		Ciò significa che laddove le 
		isobare risultano ravvicinate (massimo gradiente) avremo le massime 
		velocità del vento, mentre laddove le isobare risultano molto 
		distanziate avremo venti deboli o assenti. In figura queste due 
		situazioni sono rispettivamente presenti tra la Bosnia e le coste 
		Adriatiche (max gradiente) e a sud della Sardegna (min gradiente). 
		Tuttavia, come intuito da Coriolis oltre 2 secoli fa, le masse in 
		movimento sulla superficie terrestre, sono soggette all’omonima forza 
		CoF e vengono pertanto deviate, nel loro moto iniziale, verso destra 
		nel nostro emisfero e verso sinistra nell’emisfero australe.  
		Pertanto nel caso ipotetico di 
		isobare rettilinee e parallele e trascurando per il momento ogni forma 
		di attrito, il vento risultante dal bilancio tra la forza di Coriolis e 
		la forza di gradiente, darà origine a quello che chiameremo vento 
		geostrofico Vg : 
		
		  
		  
		Il vento geostrofico risulterà 
		essere pertanto parallelo alle isobare. Tuttavia una massa d’aria in 
		movimento su una superficie quale quella terrestre, sarà soggetta a 
		delle resistenze di attrito Fr che 
		dipendono dalla rugosità della superficie e che agiscono in senso 
		opposto al moto.  Introducendo pertanto tale forza in nuovo equilibrio 
		sarà il seguente: 
		  
		
		  
		  
		La risultante di questo nuovo 
		equilibrio sarà un vento (ageostrofico) che tenderà a tagliare le 
		isobare puntando verso le basse pressioni, con un angolo che sarà tanto 
		maggiore quanto maggiore sarà l’attrito. Sul mare e su superfici molto 
		lisce tale angolo risulta compreso tra 10 e 30 gradi, mentre su 
		terraferma o zone montuose si può arrivare a superare anche i 60-70 
		gradi. Queste sole considerazioni ci permettono adesso di comprendere 
		che la disposizione del vento al suolo seguirà le isobare, convergendo, 
		con un angolo compreso tra 10 e 40 gradi, verso le basse pressioni. 
		Inoltre le medesime considerazioni ci permettono di stabilire che nel 
		caso di circolazioni chiuse di alta o di bassa pressione, i venti 
		assumeranno una rotazione antioraria (o ciclonica) intorno ai centri di 
		bassa pressione, e oraria (o anticiclonica) intorno a centri di alta 
		pressione. Per le considerazioni fatte sull’attrito essi tenderanno a 
		divergere dalle alte pressioni e a convergere verso le basse. 
		   
		  
		Fig.16 
		Moto dell'aria intorno alle basse e alle alte pressioni nell'emisfero 
		Nord 
		La convergenza che si 
		manifesta attorno ai centri di bassa pressione, è uno dei meccanismi che 
		produce il sollevamento delle masse d’aria. Quando la massa d’aria umida che 
		converge attorno ai centri di bassa pressione inizia il processo di 
		sollevamento, si espande e si raffredda, condensando il vapore acqueo 
		che contiene e dando origine alla nuvolosità tipica delle zone di bassa 
		pressione. Viceversa, la divergenza prodotta dai centri di alta 
		pressione richiama aria dall’alto che scendendo di quota viene compressa 
		e riscaldata, favorendo la dissipazione di eventuali nubi presenti. 
		Dalla meteorologia sinottica 
		alla analisi delle serie storiche. 
		  
		
		L’enorme mole di dati osservati ed archiviati con continuità dalle 
		stazioni meteorologiche di tutto il mondo, ha rappresentato una delle 
		risorse più importanti, per lo sviluppo di nuove branche della 
		meteorologia quali ad esempio la meteorologia statistica e la 
		climatologia. Una delle questioni chiave che si pose infatti subito dopo 
		l’invenzione dei primi strumenti di misura, fu cosa fare e come 
		utilizzare le serie di dati raccolte dai vari osservatori meteorologici. 
		Le prime analisi statistiche applicate ai dati meteorologici, furono 
		delle semplici statistiche descrittive, ovvero lo studio della 
		variabilità di un fenomeno a partire dai dati rilevati. Nacquero così i 
		primi tentativi di classificare i climi delle varie località, in 
		funzione delle temperature e delle precipitazioni medie che si 
		verificano nel corso dell’anno. Nel 1817 Alexander von Humboldt 
		disegnò la prima mappa delle temperature medie del pianeta. Wladimir 
		Koeppen (1846-1940) migliorò tale rappresentazione, inserendo anche 
		l’intervallo di variazione stagionale delle temperature per ogni 
		località, realizzando così una prima classificazione dei climi. Questa 
		classificazione, in analogia a quella della piante, realizzata da 
		Linnaeus nel 1735, era essenzialmente gerarchica, con categorie 
		principali suddivise in sottocategorie e così via. Koeppen infatti aveva 
		inizialmente studiato botanica a St Petersburg, dopo il completamento di 
		un dottorato di ricerca a Heidelberg sull'effetto della temperatura 
		sulla crescita delle piante. A livello più alto il sistema si basa su 
		cinque tipi principali di clima, sviluppati dalla sua categorizzazione 
		nel 1884 di zone termiche adatte a vari tipi di vegetazione (Fig. 17)
		 
		  
		
		  
		 Fig.17 
		La prima mappa di classificazione del clima di Koeppen 
		In 
		1924 Koeppen divenne professore associato all’Università di Gradz ed 
		insieme a Rudolf Geiger (1894-1981) rividero il sistema di 
		classificazione dei climi. Geiger, dopo una prolungata serie di misure 
		meteorologiche effettuate in prossimità del terreno,  introdusse anche 
		la disciplina della Microclimatologia, allo scopo di descrivere e 
		comprendere il “clima vicino al terreno” (titolo anche del suo libro 
		tradotto in inglese nel 1960) e le sue variazioni dovute alla topografia 
		e uso del suolo.     
		Negli 
		Stati Uniti, Warren Thornthwaite (1892-1963) sviluppò anch’egli 
		una classificazione gerarchica nel 1931, tenendo conto essenzialmente 
		dell’andamento annuale dell’umidità del suolo determinata dal bilancio 
		tra le precipitazioni e l’evotraspirazione.  
		
		Parallelamente a queste descrizioni del clima basate fondamentalmente su 
		considerazioni di carattere statistico, si svilupparono anche delle 
		tecniche di analisi delle serie storiche che, partendo dall’analisi dei 
		dati osservati, fosse in grado di desumere e ricostruire le dinamiche 
		stesse del clima. L’analisi di Fourier applicata a una serie temporale 
		α(t) è una tecnica che consente di studiare il segnale α nel dominio 
		delle frequenze, grazie alla decomposizione della funzione temporale 
		stessa in un numero infinito di armoniche (onde fondamentali), in cui 
		l’ampiezza di ciascuna armonica rappresenta il peso che essa ha nel 
		segnale originario. La decomposizione in armoniche è espressa dalla 
		funzione antitrasformata di Fourier, definita come 
		   
		
		laddove la relazione inversa, la trasformata di Fourier, è definita come 
		
		  
		 con 
		i unità immaginaria, ω frequenza angolare dell’armonica 
		(rad/s), dati ω = 2π/T e T periodo dell’armonica in secondi. L’analisi 
		nel dominio delle frequenze viene condotta per evidenziare alcune 
		proprietà non immediatamente riconoscibili nella rappresentazione 
		temporale di un segnale. L’analisi spettrale dei dati climatici è oggi 
		una tecnica largamente utilizzata in tutto il mondo e grazie ad essa 
		molti lati oscuri e poco conosciuti del sistema climatico terrestre sono 
		stati svelati. Grazie ad analisi effettuate su dati paleoclimatici è 
		stato possibile, ad esempio, ricostruire e correlare la durata dei cicli 
		astronomici con le glaciazioni terrestri. Ulteriori sviluppi di cui ha 
		beneficiato la Meteorologia e la Climatologia sono arrivati senza dubbio 
		dall’impiego dell’analisi wavelet. 
		L’analisi Wavelet è un potente 
		strumento matematico in grado di  fornire una rappresentazione 
		tempo-frequenza di un qualsiasi segnale analizzato nel dominio del tempo 
		(Percival e Valden, 2000). Nel caso di serie meteorologiche e 
		climatologiche questo tipo di analisi risulta essere particolarmente 
		apprezzata essendo in grado di estrarre informazioni preziose dal 
		segnale. Rispetto per esempio alla semplice trasformata di Fourier, le 
		Wavelet permettono di ritrovare non solo in valore di determinate 
		frequenze presenti in una serie non stazionaria, ma di individuare anche 
		l’intervallo di tempo in cui tali frequenze sono state presenti e 
		predominanti. Tali raffinati strumenti sono stati utilizzati in diversi 
		studi di climatologia e la letteratura scientifica e ricca di esempi in 
		tal senso (Baliunas et al. 1997, Torrence e Compo 1998, Park e Mann 2000 
		etc). Utilizzando la decomposizione Wavelet, è per esempio possibile 
		estrarre da una serie storica di dati, delle informazioni sulle 
		dinamiche climatiche.  
		   
		Fig.18  Esempio di spettro Wavelet su 
		una serie storica di temperature di Cozzo Spadaro (SR) 
		  
		  
		References 
		F. Affronti, Atmosfera e 
		meteorologia, Modena, STEM, 1977 
		S. Palmieri (a cura di), Il 
		mistero del tempo e del clima, Napoli, CUEN, 2000 
		W.E. Middleton, A History of 
		thermometer and its use in Meteorology, Baltimora, Hopkins Press, 
		1966 
		E. Borchi e R. Macii, Termometri 
		e Termoscopi, Firenze, Osservatorio Ximeniano, 1997 
		H.H. Frisinger, The history of 
		meteorology to 1800, New York, S.H.P., 1977 
		L. Iafrate, Una pagina gloriosa 
		della storia della meteorologia: Le origini italiane della meteorologia 
		moderna, Bollettino Geofisico, Roma, 1997 
		Torrence C., Compo G., 1998, A 
		practical Guide to Wavelet Analysis, Bulletin of the American 
		Meteorological Society, Vol. 79: 61-78. 
		
		Köppen, W., 1884: 
		
		
		Die Wärmezonen der 
		Erde, nach der Dauer der heissen, gemässigten und kalten Zeit und nach 
		der Wirkung der Wärme auf die organische Welt betrachtet |